La sua vita

Giovanna Francesca Fremyot di Chantal nacque a Digione il 23 gennaio 1572. La mamma morì solo diciotto mesi più tardi lasciando tre bimbi piccolissimi, che furono educati dal padre, presidente del parlamento di Borgogna.

“Giovanna aveva ricevuto in dono da Dio – e manifestato fin da piccola – e manifestato fin da piccola – quella mente chiara, pronta e retta, – e manifestato fin da piccola – quella mente chiara, pronta e retta, che ama e vuole potentemente”

(così ne scrisse una volta San Francesco di Sales), quella sensibilità appassionata, temperata da un’intelligenza sottile, in breve quel temperamento naturale e quella forza di carattere che furono sempre ammirati in lei e che ne fecero una donna di polso, di governo e di un fascino irresistibile, tanto da essere definita dai primi biografi “dama perfetta”.

Sotto la guida del presidente Frémyot, suo padre – uomo di animo nobile e fede incrollabile –, la grazia si impadronì poco a poco di quella natura senza distruggerla, ma spingendola verso l’assoluto di Dio.

Nel 1592 sposò il barone Cristoforo III di Chantal verso il quale ebbe sempre sentimenti di amore e di profondo rispetto; gli storici sono concordi nel dichiarare che l’unione fu tra le più felici. Un banale incidente di caccia, dopo soli otto anni, mise fine alla vita del Barone; il dolore di sua moglie fu indescrivibile: Giovanna si ritirò nella solitudine più completa fu in mezzo a tali prove che ella cominciò a percepire i richiami della grazia che la spingeva ad una vita più perfetta; fece voto di perpetua castità e si mise alla ricerca di un direttore che la conducesse sulle vie dell’orazione. Dovette sospirarlo ancora qualche anno prima di conoscere – nel 1604 – San Francesco di Sales. Dopo alcuni incontri, Giovanna gli aprì la sua coscienza; il Santo si prese il tempo necessario per riflettere e pregare ed, alla fine, si assunse la guida di quella grande anima.

La sua direzione, estremamente prudente ed equilibrata, attenta a scorgere e a seguire docilmente le vie della grazia, fece dilatare l’anima di Giovanna, che si mise così ad avanzare a grandi passi sul sentiero dell’amore di Dio e nella pratica di tutte le virtù. San Francesco di Sales, inoltre, l’aiutò ad acquistare una santa libertà di spirito unita ad una grande soavità che, saldamente ancorate alla sua fermezza di carattere, ne fecero una donna veramente completa ed una Fondatrice di grande saggezza e spirito soprannaturale. Ciò che si ammira in lei, nei diversi stati della sua vita, è la totale sottomissione all’impulso della grazia, cosa che le permise di mettere al solo servizio di Dio tutti quei doni che Egli stesso le aveva largiti e di praticare nel contempo la virtù fino a giungere alle vette della santità.

La direzione spirituale di San Francesco di Sales avveniva quasi esclusivamente per lettera: la distanza tra la Borgogna e la Savoia rendeva molto rare le possibilità di incontro. Fu, tuttavia, in una di queste – nella Pentecoste del 1607 – che il vescovo di Ginevra manifestò a Giovanna il suo progetto di fondare la Visitazione. Ella accettò e si mise alacremente al lavoro per appianare le tante difficoltà che il suo stato di vedova e madre di quattro figli ancora piccoli presentava, nella prospettiva di un ritiro dal mondo. A poco a poco, però, la Provvidenza dispose ogni cosa per il meglio, furono superati tutti gli ostacoli e Giovanna si separò dai suoi cari per recarsi in Savoia. Giunta ad Annecy, il 6 giugno 1610 ebbe inizio l’Ordine della Visitazione. Da questo momento in poi l’esistenza di Giovanna Francesca Frémyot di Chantal fu strettamente legata alle vicende della sua famiglia religiosa.

L’unione tra i due Fondatori era totale e la loro corrispondenza rivela una profondità di affetto che, se non si trovasse in anime unicamente protese verso Dio, rischierebbe di suscitare perplessità, se non vero e proprio sconcerto. Questo però non significa che l’una fosse una specie di copia dell’altro. La spiritualità della Santa, infatti, pur affondando le radici in quella di San Francesco di Sales, viene da lei vissuta con sfumature proprie ed originali. Sulla scia del suo direttore, ella considera la perfezione cristiana in ciò che costituisce il suo principio e il suo essenziale: l’Amore di Dio. Come lui, insegna a conservare, sviluppare, praticare la carità, da cui nascono tutte le altre virtù. Era solita compendiarne brevemente l’insegnamento con una pittoresca, ma efficace espressione:

“Tutte le virtù seguono la carità come i pulcini la loro chioccia”.

Santa Giovanna Francesca di Chantal non si stanca di ripetere che l’amore soprannaturale di cui stiamo parlando non risiede nel sentimento, ma nel dono volontario di sé a Dio e al prossimo; amare Dio perciò significa, in ultima analisi, unirsi alla sua volontà. Questa è – possiamo dire – la base pratica su cui poggia l’edificio spirituale della Madre; al vertice, poi, esso si apre ad un abbandono filiale, completo, tenero e confidente. Non si può, tuttavia, giungere alle vette di questo cammino senza un impegno generoso e costante. Santa Giovanna di Chantal insiste molto, con vigorose espressioni, sul combattimento spirituale che implica una sorta di morte a noi stessi. Questo non vuol dire che il suo fosse uno spirito rigido e tetro, tutt’altro! Nelle sue pagine si respira un clima di fiducia e di serenità: ogni rinuncia, piccola o grande che sia, va fatta con gioia ed è pure apportatrice di gioia.

“Il nostro – diceva San Francesco di Sales – è il Dio della gioia!”.

Per dono di natura molto positiva, realista, attenta a smascherare ogni illusione e desiderio inutile, a demolire ogni castello in aria, la nostra Santa ribadisce incessantemente il valore spirituale della vita quotidiana e dell’attimo presente, perché sa che i primi segni con cui si manifesta la volontà di Dio sono le condizioni di tempo, di luogo, di stato di vita in cui la Provvidenza ci ha posti. Ella vuole che l’anima si renda malleabile sotto la mano di Dio. Questo abbandono incondizionato la fece giungere ai più alti vertici dell’orazione, quella che lei stessa definiva “di semplice presenza e di semplice remissione in Dio”, e nel medesimo tempo la portò a condurre le sue figlie su questa stessa via.
L’orazione, comunque, non è mai sganciata dalla realtà; essa è chiamata a portare frutto nella virtù. La Santa Fondatrice ripete volentieri alle sue Figlie che la mortificazione e l’orazione non vanno l’una senza l’altra, perchè “la mortificazione senza l’orazione è assai difficile e l’orazione senza la mortificazione è assai pericolosa”; diceva anche che “l’orazione e la mortificazione sono le due ali che ci conducono a Dio”.

Grande mistica, chiamata alla spoliazione totale, ella resta ciononostante molto umana, molto attenta al reale. Come Fondatrice non solo sa leggere nelle anime e seguirvi le operazioni dello Spirito Santo, ma ha l’occhio vigile su tutti i dettagli dell’organizzazione materiale dei numerosi monasteri.
Nelle sue opere si rivela come una donna ben calata nella sua epoca, che teneva in grande considerazione la ragione e l’equilibrio. La sua mente chiara, il giudizio fermo e deciso non amavano affatto “gli animi ingarbugliati”, “gli animi ristretti”, mentre apprezzava la brevità, la precisione e voleva che si andasse dritti allo scopo. Univa tutto questo ad una solida tenerezza. Colei che fu sposa e mamma amorevolissima sapeva rischiarare e riscaldare con affettuose espressioni i consigli austeri dati alle sue interlocutrici, e nei rapporti con le sue religiose non mancava nemmeno di un certo senso dell’umorismo.

Dopo la morte di San Francesco di Sales – 28 dicembre 1622 – per diciannove anni la Santa Fondatrice portò da sola il peso dell’Istituto che si andava espandendo sempre più. Nonostante fosse presa da mille incombenze, trovò il tempo – tra il 1606 ed il 1641 – di scrivere più di undicimila lettere (così da stime attendibili), delle quali solo duemila ci sono pervenute. In tutti questi anni, inoltre, continuò ad occuparsi attivamente del processo di canonizzazione del suo “Beato Padre”, come lei amava chiamare San Francesco di Sales.

Dal novembre 1635 al settembre 1636 la Santa visitò quasi tutti i monasteri della Francia e poi, nel 1638, scese in Italia, a Torino, per la sua ultima fondazione. Avviata questa, tornò al suo monastero.
Partì da Annecy l’ultima volta il 28 luglio 1641, per un viaggio che la doveva portare a Parigi e a Moulins. Durante il ritorno si sentì male ed il 13 dicembre 1641 Santa Giovanna Francesca Frémyot di Chantal morì nel monastero di quest’ultima città pronunciando per tre volte il nome di Gesù.
Fu beatificata da Benedetto XIV il 13 novembre 1751 e canonizzata da Clemente XIII il 16 luglio 1767. Clemente XIV estese la sua festa a tutta la Chiesa.

Ci piace concludere con un brano che dipinge al vivo la grande anima di questa grande donna.

“Tutti ricordano, penso, – scrive la Madre Françoise Madeleine de Chaugy, sua nipote, segretaria e prima biografa – quell’intenso raccoglimento che la teneva sempre ritirata in se stessa, sia che fosse felice sia che soffrisse; quella capacità per ogni specie di affari, quali che fossero. Ha consumato e prodigato la sua vita al servizio di Dio e del prossimo, e in modo particolare delle sue figlie. Si ricordi anche quella costanza sempre uguale in qualunque avvenimento, quel viso sempre infiammato, sempre dolce, sempre raccolto; si ricordi quella modestia, quella fuga e ripugnanza delle lodi e di ogni clamore e notizia del mondo, quel grandissimo amore della povertà, umiltà e semplicità di vita; quell’oblio generale di tutte le cose e di se stessa, col continuo ricordo di Dio; quell’esattezza indispensabile a tutte le piccole pratiche di virtù e di osservanza, quella cura nel condurre il suo gregge nel deserto della vita interiore, quell’unione che ha conservato nell’Ordine, e con quale umiltà ha agito e tenuto tutto legato a sé, rimanendo distaccata da tutto per quello che riguardava lei in particolare. Ecco i suoi miracoli: una virtù compiuta”.